Formula 1
Graeme Lowdon ricorda commosso Jules Bianchi, 10 dopo la sua morte
Dieci anni dopo la tragica scomparsa di Bianchi, le parole di Lowdon riportano alla luce il dolore che ha colpito tutto il mondo della F1

Sono passati dieci anni dalla morte di Jules Bianchi, ma il dolore per quella tragedia è ancora vivo nel cuore di chi l’ha vissuta da vicino. Tra questi, Graeme Lowdon, ex CEO e direttore sportivo del team Marussia, che ha condiviso in un’intervista al podcast High Performance i ricordi più dolorosi e profondi legati al weekend del GP del Giappone 2014, segnato dal tragico incidente di Bianchi.
Lowdon sull’incidente di Bianchi: «È stato devastante»
Era il 5 ottobre 2014 quando, sotto una pioggia torrenziale a Suzuka, Bianchi perse il controllo della sua Marussia andando a impattare violentemente contro un mezzo di soccorso in pista. Rimasto gravemente ferito, il pilota francese fu trasportato d’urgenza in ospedale, dove rimase in coma per nove lunghi mesi prima di spegnersi il 17 luglio 2015.
«Il periodo tra la fine del 2014 e l’inizio del 2015 è stato sicuramente il più difficile della mia carriera. In realtà, tutto il 2015», ha commentato Lowdon, futuro Team Principal di Cadillac, che debutterà in F1 nel 2026. «Non si tratta di perdere un campionato o subire un brutto risultato. Il peggio è quando qualcuno si fa male. E quando è un membro della tua squadra, è devastante», ha aggiunto.
Nel suo racconto, Lowdon rivive ogni istante di quella giornata tragica: dal momento in cui il team perse ogni comunicazione radio con Bianchi, alla corsa verso il centro medico, fino al viaggio verso l’ospedale con John Booth, all’epoca team principal di Marussia. Momenti tragici, di cui ricorda l’attesa e la paura.

Graeme Lowdon, ex direttore sportivo di Marussia e futuro TP di Cadillac (© F1)
«Mi sono subito diretto verso il centro medico, ma nessuno poteva entrare. Poi, quando abbiamo capito che era grave, io e John Booth siamo andati direttamente all’ospedale. Non credo di aver mai lasciato l’edificio per giorni. Dormivamo per terra, in un angolo; avevo ancora addosso la divisa di gara. Solo quando sono uscito ho realizzato la portata della situazione».
La forza della famiglia Bianchi nel momento più difficile
A colpirlo, ancor più della tragedia in sé, fu la forza della famiglia Bianchi. Il dolore dei genitori di Jules fu composto, dignitoso, capace perfino di farsi premura per gli altri: «La famiglia è venuta in Giappone e ci penso ancora oggi. Cosa avranno pensato salendo su quell’aereo dalla Francia, diretti verso l’incertezza? Non riesco a immaginare cosa abbiano provato, andando incontro all’ignoto».
«Non potevo fare nulla. Non potevo aiutare. Avrei voluto essere un medico. Avrei voluto poter intervenire e risolvere la situazione. C’erano medici bravissimi lì, ma in quei momenti non ragioni in modo logico. È tutto emotivo, non razionale».
La priorità era restare vicino alla famiglia: «L’unica cosa che potevamo fare era assicurarci che la famiglia ricevesse informazioni precise. Così ci siamo buttati completamente in quel ruolo, per garantire che la famiglia fosse pienamente informata. Che avesse la certezza che Jules stava ricevendo le migliori cure possibili, e tutto il supporto disponibile».
L’eredità di Jules
Il ricordo più toccante, però, è legato a Monte Carlo, teatro del momento più glorioso di Jules in Formula 1. Nel 2014, con un’incredibile prestazione, il francese portò la Marussia al nono posto, conquistando i primi e unici punti nella storia del team.

La Marussia di Bianchi in pista durante il GP Monaco 2014 (© F1)
«Decidemmo di realizzare dei braccialetti per tutta la squadra, con la scritta Monaco 2014 P8 e #JB17. Li abbiamo fatti solo per noi. Volevamo che chiunque, guardando quel braccialetto, potesse ricordarsi che stavamo pensando a Jules, che era in ospedale a pochi chilometri da lì. Se guardate oggi nel paddock, vedrete altre persone di altri team che lo indossano ancora», ha ricordato Lowdon, che non ha mai tolto quel braccialetto.
Dieci anni dopo, il motorsport ha fatto passi avanti in materia di sicurezza. L’halo, i protocolli più rigidi, le procedure in condizioni di pioggia: tutto parla anche di lui. Ma la memoria di Jules Bianchi resta un monito, un simbolo e, soprattutto, una ferita aperta per chi ha condiviso con lui il sogno della Formula 1.